AUTORITRATTO. TARDA SERA
Senti il tonfo sordo e piccolo del gomito,
si pianta nel noncurante muto tavolo
.Solo l'altro è seguito dalla mano malleabile,
questo regge alla testa il nuovo tronco e il nuovo collo.
Guarda la mia eleganza di uomo in piedi degradarsi,
degradarsi intatta sopra il tavolo.
Tra i fogli lasciati chi più chi meno bianco
trascurate si nascondono monete per la spesa.
Vermi tra i gioielli
facilmente abitano.
Se guardo il comodino
veloci scompaiono.
Guarda sullo sfondo del mondo stagliarsi,
su una strada del mondo che oltre il vetro riposa,
guarda infiltrarsi questo volto creato a caso
che da solo si guarda senza spazio per Narciso.
Mentre tra i gioielli
lunghi vermi scorrono.
Non guardare il comodino,
rapidi rintanano.
Ma sempre sarà stato o è da poco come ora?
Nella finestra il vagobusto preferirebbe la seconda.
Negli occhi scopre immobilmente qualcosa,
un baule, uno sguardo, un coltello, perduto.
Guarda d'improvviso la struttura evaporare,
ora la testa segue gli occhi nell'affanno.
Il dubbio è bastato a voltare il ritratto,
le spalle alla finestra, il culo al tavolo.
Nell'intrico di mobili e soprammobili si aggira,
dappertutto cerca e tutto disordina.
In un cassetto trova infine pochi indizi per prova.
La vita c'è, ma non dà risposta alcuna.
Sopra il comodino
facilmente abitano.
Se sentono un passo
veloci scompaiono.
Guarda tra i gioielli
vermi albergare.
Salta il comodino,
non li disturbare.
DOMANDA PER ESENIN
Ancora qui,
anche se qualche fumo e qualche odore
di tanto in tanto ricorda.
Sentire.
Cosa si è perso in cambio di tutto questo tempo?
Quant’è fredda
quest’ aria anche se accoglie,
quanto è materna
e quanto estranea.
Tu, invece, finisti,
tu che a trent’ anni finisti
quello che io credo di non avere
ancora forse cominciato.
Dimmi se ho ancora un po’ di tempo,
tu che presto smettesti di avere tempo.
Quanto assurdo appare
il resistere nei giorni
se per un attimo questi
sono illuminati da uno come te,
che in un attimo tanti giorni facesti brillare.
Imparasti, insegnando,
che chi brucia brucia con sé la sua fine?
E se sì
a quale pro io lo imparo?
Io che brucio assai più lentamente
eppure avverto tutta la stanchezza.
Forse fosti l’immagine strappata dalla lingua
nel mare di grano in cui eri nato.
Senza volerlo. In cosa ti sento vicino
se l’angoscia non mi uccide
anche se è presente?
Non mi conosci
e questa mia vita che si ostina
un incontro non promette.
Ci sono momenti in cui la sento
vicina abbastanza da chiamarla,
e sento l’odore della cenere,
e tutto ha la luce confusa
delle cose che si amano.
Amico caro a cui non posso dare niente,
amico arso eppure fresco come un fiore,
col mio pensiero, che poco stimo,
attraverso il secolo che passa
tra la tua campagna gelida
e la mia secca e spinosa,
e posso udire tra piante senza nome
che forse non è così scontato il vivere,
così come
non è scontato il morire